La Fratta, la fattoria toscana
Le strutture di fattoria, elegantissime e funzionali, la villa, splendida ed armoniosa, la deliziosa chiesetta, il giardino all’italiana, il cortile, gli spazi poderali, la campagna circostante rendono La Fratta una perla nell’unicità della campagna senese

Parlando della Fratta non possiamo dimenticare il ruolo che la stessa ha avuto, in quanto “fattoria”, nell‘economia agricola e nella società rurale di questa parte della Valdichiana, dove, almeno fino agli anni ’50, l’agricoltura ha rappresentato la principale fonte di produzione del reddito per la maggior parte della comunità. Una realtà molto complessa, ci limiteremo qui a ricordare che alla Fratta ha regolarmente funzionato fino agli anni ’60 una scuola elementare parificata istituita dalla Famiglia Budini Gattai per la gente della Fratta; che nelle strutture abitative della fattoria trovava residenza una piccola comunità di suore dell’Ordine di Santa Caterina, alcune delle quali erano impiegate come insegnanti della scuola; e che, infine, un frate francescano, del convento di San Bernardino, oltre a celebrare la Santa Messa nella cappella, era costantemente presente in loco. A sua disposizione, infatti, erano dei locali dove soggiornava nei periodi di maggiore impegno liturgico o di cattiva stagione. L’ultimo di questi frati, ricordato tuttora con affetto dalla comunità, fu Padre Gilberto.
[…]Per adesso, riteniamo comunque utile introdurre alcuni degli elementi più significativi che il dibattito storiografico propone relativamente al ruolo che la “fattoria” ha avuto nell’evoluzione della agricoltura toscana. Fino ai processi di più intensa industrializzazione maturati dal dopoguerra in poi, anche in Toscana, sono state le campagne a rappresentare gli spazi principali per la produzione diretta di una nuova ricchezza e a determinare le coordinate essenziali della vita associata e delle sensibilità individuali e collettive e, con ciò, le fondamenta materiali ed umane di quell’assetto.
Queste terre, artifici operati dagli uomini con un’ordinata e suggestiva sistemazione del suolo attraverso l’uso della coltura promiscua: i tipici rettangoli di non grandi dimensioni, separati spesso da filari di vite, ed il rispetto della natura e delle peculiarità del territorio e dell’ambiente, hanno testimoniato per molto tempo l’ideale della storia italiana e dell’integrazione naturale dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Come non pensare a questo proposito alle meravigliose immagini che Ambrogio Lorenzetti ci ha lasciato nell’affresco del Buon Governo del Palazzo Pubblico di Siena. La forma costruttiva del territorio che osserviamo oggi nelle nostre campagne è dunque il frutto di un’intensa stratificazione storica che risale lontano nel tempo, ma i cui caratteri e connotazioni si devono al processo di colonizzazione territoriale operato in nuove forme produttive dall’aristocrazia terriera settecentesca. Gli studiosi sono concordi nel leggere in Toscana l’esempio più rilevante di questo processo. Proprio qui, infatti, dove più numerose erano le fastose ville signorili già costruite nei secoli precedenti in una diversa congiuntura economica e sociale dalla fine del ‘500 a tutto il ‘700 (la storia della Fratta ne è proprio una testimonianza ed una conferma), non è difficile assistere ad una loro trasformazione da luoghi di ozio, di caccia, di ricevimenti, in centri di investimenti finanziari importanti ed al contempo di riorganizzazione della produzione agricola e del paesaggio agrario.
In Toscana la fattoria è centro di una complessa organizzazione della grande azienda signorile appoderata, generalmente annessa ad una grande villa padronale ed a strutture per la lavorazione di alcuni prodotti. In questo processo ha avuto senz’altro un ruolo importante la realtà economica e sociale rappresentata dal “sistema della mezzadria”, un’organizzazione che faceva riferimento ad una famiglia numerosa, con abitazione – il podere – destinata a residenza ed alle più semplici funzioni produttive necessarie per l’economia della famiglia, che è stata definita da alcuni storiografi come “unità organizzativa orientata alla produzione”.
Ma la Fattoria in Toscana non è stata solo un esempio di razionalizzazione produttiva delle campagne, determinato dall’unione tra il sistema mezzadrile preesistente e la presenza di nuovi investimenti economici nelle proprietà rurali da parte delle grandi famiglie signorili; è stato anche insieme alle veglie, alle feste locali, al mercato, alle fiere, un importante istituto di socializzazione e di costruzione di relazioni umane e sociali per gruppi di persone e famiglie anche molto numerosi, come appunto viene testimoniato dalla realtà rappresentata dalla Fratta.
Da più parti si sostiene che la genesi della Fattoria come organizzazione economica e territoriale di una proprietà agricola appoderata, dove il proprietario investiva una buona parte delle sue risorse finanziare e dove l’amministrazione prima, e le scelte gestionali e produttive poi, risultavano centralizzate, non si può far risalire oltre il XV/XVI secolo.
Prima di quel periodo, infatti, non solo è difficile ritrovare documenti di una contabilità aziendale come quella tipica della fattoria, ma gli stessi parlano ancora di “casa da Signore”, “pelago”, “villa”. Tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 sono osservabili diversi elementi di novità che furono senz’altro di stimolo alla riorganizzazione dell’agricoltura mezzadrile anche nelle nostre zone, secondo appunto il sistema della fattoria. I più rilevanti sono rappresentati dalla presenza di uno sviluppo del mercato agricolo su scala sempre più ampia, da una significativa crescita demografica e dall’avvio di un pur semplice processo di industrializzazione e meccanizzazione di alcuni processi lavorativi.
In Toscana era già avviata una piccola rivoluzione agricola grazie appunto all’ampia diffusione della mezzadria ed al collegamento con i mercati cittadini. Nel ‘700 il dato nuovo consiste proprio nell’organizzazione ulteriore del sistema mezzadrile attraverso il sistema della fattoria e l’importanza crescente che in questa azienda signorile vengono ad assumere gli investimenti di capitale fisso.
[…] Il processo di sviluppo del sistema della fattoria va avanti dunque con intensità nell’800 e poi nei primi decenni del ‘900. I vantaggi che la classe dei proprietari vedeva nell’investimento di capitali nelle grandi aziende appoderate si può riassumere in tre ambiti essenziali: prima di tutto dal punto di vista della produzione, poi degli investimenti fondiari ed infine dal punto di vista ideologico. Tra le ragioni sottese ai vantaggi legati alla produzione dell’azienda, nel sistema della Fattoria insistono anche i problemi legati agli interventi di regimazione delle acque conseguenti alla Bonifica fortemente voluta da Pietro Leopoldo (anche alla Fratta, come abbiamo visto, questo elemento ha avuto un importante valore dal punto di vista delle scelte di gestione della fattoria). Dalla seconda metà dell’800, grazie agli interventi della Bonifica, le proprietà saranno spesso appoderate più intensamente per aver recuperato nuovi spazi alle colture ed anche per questo la forma di conduzione della fattoria rispondeva meglio alle necessità di una continua manutenzione della terra nelle zone bonificate, affinché gli effetti degli interventi si conservassero nel tempo.
Un altro vantaggio legato all’appoderamento tipico nella fattoria toscana, è quello della coltura promiscua, che, pur essendo il principale limite rispetto alle forme più specializzate di produzione, praticate in altre realtà in particolare in presenza di estesi territori pianeggianti, che riuscivano a far fronte con maggiore competitività ad un mercato sempre più grande, nazionale ed anche internazionale, in realtà la coltura promiscua aveva dalla sua parte almeno due ordini di vantaggi. Da una parte, infatti, permetteva all’azienda ed alle famiglie di attutire meglio le cadute congiunturali legate ai singoli prodotti ed una maggiore flessibilità rispetto al modificarsi del mercato e, dall’altra, l’appoderamento nel sistema della fattoria toscana era caratterizzato da una serie di produzioni importanti anche qualitativamente che richiedevano, specialmente nella fase finale del prodotto, un processo di lavorazione tecnicamente più complesso che veniva svolto nei locali della fattoria da più mezzadri insieme o in alcuni casi da salariati dipendenti dell’azienda stessa. Alla Fratta, infatti, già nel 1850 dai dati della Statistica Industriale del Granducato, risulta la presenza di una filanda «… che fabbricava organzino della più fine qualità. Questa filanda alla lionese e bielle meccaniche e fornelli economici è stata costruita dal meccanico Vincenzo Petroni di Pescia»; dalla statistica pare che questi tessuti venivano anche venduti all’estero. Ma risulta anche segnalata la presenza di una fabbrica di “olio di sanse” che: «… fabbricato a perfezione è ridotto all’uso di illuminazione domestica».
Dal punto di vista, invece, dei vantaggi che ai proprietari derivavano dagli investimenti fondiari nelle aziende appoderate, bisogna osservare che questo non consisteva solo nell’acquisto di nuove terre, anzi più spesso serviva alla crescita del capitale investito nell’azienda stessa, attraverso il recupero del patrimonio edilizio con interventi di sistemazione dei poderi che sempre più venivano dotati di comodità: «La buona casa fa il buon contadino», sostenevano infatti i fautori del rinnovamento edilizio. Ma gli interventi riguardavano anche l’adeguamento ed ammodernamento dei locali della fattoria o l’acquisto di macchine e strumenti destinati ai processi lavorativi “industriali” legati al rinnovarsi delle tecniche di produzione e trasformazione dei prodotti stessi.
Conseguenza dunque di tutto ciò è stato l’accrescimento del valore fondiario immobiliare dell’azienda e di quello tecnico legato alla produzione molto spesso di qualità e quindi in grado di competere sui mercati.
Il terzo ambito in cui, come sopra abbiamo accennato, gli storiografi ritrovano un interesse dei proprietari nell’investimento di capitali nelle proprie fattorie è quello ideologico, determinato cioè dalle conseguenze di carattere sociale legate al “sistema della Fattoria”, che diviene così funzionale alla conservazione di un ordine sociale ottimale per la resa economica e sociale del sistema stesso.
La conclusione che possiamo trarre da questi argomenti è che in Toscana la relativa flessibilità del lavoro della famiglia mezzadrile permise la sopravvivenza del sistema della fattoria in una prima fase che rappresentò la risposta dal basso alle esigenze economico-sociali del sistema stesso. Mentre la risposta della proprietà che venne in una fase successiva con l’obiettivo dello sviluppo intensivo dell’economia e della produzione dell’azienda e questo coincise, come già accennato, all’intervento diretto dei proprietari prima e dei loro intermediari poi, nella direzione economica e colturale della fattoria, con l’introduzione della coltivazione di piante industriali (tabacco, barbabietola, frutta, gelso, canapa) e con la meccanizzazione di alcune fasi del lavoro (mietitura, trebbiatura, aratura”). Così in Toscana, in breve tempo, grandi fattorie raggruppano sempre più frequentemente i mezzi di produzione necessari alla conduzione di decine di poderi. Interessanti sono i dati del primo Censimento mondiale dell’Agricoltura effettuato tra il 1930/31, riportati in un importante studio di Paolo Albertario, dai quali si rileva che le fattorie censite in Toscana sono state 4.121 e coprono il 40.9% dell’intera superficie agraria forestale del compartimento. La distribuzione geografica e ambientale delle fattorie non è omogenea: nella Provincia di Siena esse rappresentano il 66,6% della superficie agraria forestale del territorio, nella Provincia di Pisa il 60.2% e nella Provincia di Firenze il 53.1% (P. Albertario, 1939, vol. III, p. 106 ). La studiosa Elsa Luttazzi Gregori commenta così i dati riportati nello studio dell’Albertario: «Le osservazioni sin qui fatte sono tuttavia sufficienti a confermare in primo luogo, l’importanza della fattoria nell’economia toscana ed in secondo luogo, a mostrare il disegno della classe dirigente di promuovere lo sviluppo dell’agricoltura tramite la riorganizzazione della fattoria concepita come azienda unitaria» (E. Luttazzi Gregori, 1979, vol. II, p. 83).
Anche la Fattoria della Fratta faceva parte di una gestione aziendale come quella indicata dalla Luttazzi Gregori, ne abbiamo ancora la testimonianza in un libretto a stampa datato 1914 che contiene il testo di un Regolamento predisposto dalla famiglia Budini-Gattai nel quale sono state raccolte le varie norme alle quali tutte le fattorie che facevano capo alla direzione delle proprietà agrarie della famiglia, dovevano attenersi. Dunque in Toscana il sistema della fattoria con unica direzione tecnica, con le macchine per la lavorazione dei campi e dei raccolti che passano da un podere all’altro; insieme, e spesso nei locali della fattorie, sono lavorati i primi prodotti delle colture e dell’allevamento (uva – olive – latte – bachi da seta). Con ciò la piccola economia poderale aggiunge ai suoi specifici vantaggi quelli propri della grande azienda. La superficie dell’azienda può essere per intero appoderata, salvo lo spazio sul quale sorgono i fabbricati di Fattoria (abitazione del conduttore, agente o fattore e del personale di direzione e di amministrazione, uffici, magazzini, granai, tinaia, cantina, oleificio, molino, officina per le riparazioni, impianti per la trasformazione dei prodotti grezzi quali tabacco o canapa o seta, per la tintura).
La fattoria della Fratta costituisce un esempio molto particolare da questo punto di vista, soprattutto per la rilevanza anche del valore architettonico che hanno i locali ed annessi destinati ai servizi, che contornano la grande e bella villa padronale (si confronti il saggio di Felicia Rotundo in questa pubblicazione pp. 33-39) e sono quasi il necessario completamento all’essenzialità, semplicità, e nel contempo, austerità del suo stile. Adiacente al portone di ingresso principale alla villa, sempre affacciato sul cortile, troviamo ancora oggi a svolgere la sua originaria funzione quella che il Giulj nella sua Statistica agraria della Valdichiana, ha definito come la stanza principale della fattoria: «… lo scriptojo, ove l’agente conserva i libri per registrarvi le raccolte, le compre e le vendite del bestiame, come pure lo spaccio delle grasce e tutte le altre partite, che devono tenersi in buon punto in una buona amministrazione» (G. Giulj, 1828, tomo II, p. 62). Oggi, ad un passo dal duemila, alla Fratta lo “Scrittojo” conserva ancora la targhetta all’esterno che riporta questa dicitura ed all’interno ha ancora i bei mobili di legno massiccio, le sedie dagli alti schienali, mentre su un tavolo trovano posto un computer ed un fax che testimoniano con discrezione che il tempo è passato, ma il fascino della storia vissuta in questo piccolo spazio è ancora palpabile e vivo.
Lucia Mazzetti, La Fratta nel sistema della fattoria in Toscana,
in ‘Quaderni Sinalunghesi’ Anno VII nº 1 – settembre 1996.